Lungo disinteresse per il figlio: vulnus evidente per il ragazzo
Conseguenze di entità rimarchevole, ed anche, purtroppo, ineliminabili, rispetto a quei diritti che, scaturendo dal rapporto di filiazione, trovano nella carta costituzionale un elevato grado di riconoscimento e di tutela
Il consapevole disinteresse dimostrato per lunghi anni da un genitore nei confronti di un figlio, e connotato anche dalla violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione, determina notoriamente un vulnus, dalle conseguenze di entità rimarchevole ed anche, purtroppo, ineliminabili, a quei diritti che, scaturendo dal rapporto di filiazione, trovano nella carta costituzionale, oltre che in altre norme, un elevato grado di riconoscimento e di tutela.
Questa la prospettiva tracciata dai magistrati (ordinanza numero 24719 del 7 settembre 2025 della Cassazione), chiamati a prendere in esame l’azione giudiziaria proposta da una madre e da un figlio per ottenere la declaratoria del rapporto di filiazione naturale col padre biologico del ragazzo, far accertare il diritto del ragazzo all’utilizzo del cognome paterno, conseguire la condanna del genitore al versamento di un contributo per il mantenimento passato e, infine, al risarcimento del danno non patrimoniale da abbandono e da perdita di un congiunto causato al ragazzo.
Per i giudici bisogna partire da un punto fermo: la perdita della bigenitorialità realizzata attraverso la consapevole sottrazione, da parte di un genitore, ai doveri di assistenza morale e materiale di figlio costituisce di per sé un fatto noto, da cui poter desumere un’alterazione della vita del figlio, che comporta scelte ed opportunità diverse da quelle altrimenti compiute.
Ampliando l’orizzonte, poi, i giudici si soffermano sulla nozione di illecito endofamiliare, che si riferisce alle violazioni che intervengono nell’ambito del nucleo familiare ad opera di un membro dei confronti di uno o più degli altri componenti. Con specifico riguardo al rapporto di filiazione, poi, la violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole non trova sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, potendo integrare gli estremi dell’illecito civile, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, e tale violazione, quindi, può dar luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali, esercitabile anche nell’ambito dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità.
In relazione alla individuazione di tale danno, esso consiste nella lesione di diritti costituzionalmente protetti, e fra questi indubbiamente rientra il diritto alla bigenitorialità. E, aggiungono i giudici, va segnalata l’importanza del doveroso bilanciamento tra il principio che richiede anche per il danno non patrimoniale la necessità di debita allegazione e prova, anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici, con la notoria circostanza che la lesione da perdita della bigenitorialità costituisce di per sé un fatto noto, da cui poter desumere un’alterazione della vita del figlio, che comporta scelte ed opportunità diverse da quelle altrimenti compiute. In tale prospettiva non può dubitarsi, tornando al caso specifico, come il consapevole disinteresse dimostrato da un genitore nei confronti di un figlio determini un vulnus, dalle conseguenze di entità rimarchevole.