Studio dentistico nel palazzo: possibile lo stop

Necessarie, però, chiarezza e univocità per i divieti ed i limiti regolamentari di destinazione alle facoltà di godimento dei condòmini sulle unità immobiliari in proprietà esclusiva

Studio dentistico nel palazzo: possibile lo stop

Le restrizioni alle facoltà inerenti al godimento della proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio, volte a vietare lo svolgimento di determinate attività all’interno delle unità immobiliari esclusive, poiché costituiscono servitù reciproche, devono essere approvate o modificate mediante espressione di una volontà contrattuale, e quindi con il consenso di tutti i condòmini.
Questo il principio ribadito dai giudici (ordinanza numero 16894 del 24 giugno 2025 della Cassazione) a fronte del contenzioso relativo alla possibile apertura di uno studio dentistico in un palazzo della Capitale.
A dare il ‘la’ alla vicenda è il proprietario di un appartamento, il quale chiede l’annullamento della delibera assembleare, risalente al 2012, nella parte in cui gli vieta l’apertura di uno studio dentistico nell’unità immobiliare di sua proprietà esclusiva.
Per i giudici di merito al condòmino va riconosciuta la possibilità di realizzare il proprio progetto, poiché il regolamento di condominio non vieta di esercitare nello stabile l’attività di dentista e la delibera assemblea va catalogata come un parere sul contenuto del regolamento.
Per fare chiarezza i giudici d’Appello richiamano il contenuto del regolamento, laddove, nello specifico, si specifica che “è vietato in modo assoluto di destinare gli alloggi ed i locali ad uso ufficio pubblico, di gabinetto di cura ed ambulatorio per malattie infettive e contagiose” e chiariscono che lo studio dentistico non può farsi rientrare tra i gabinetti di cura ed ambulatori per malattie infettive contagiose, anche tenuto conto che le restrizioni alla proprietà esclusiva, dettate dal regolamento di condominio di natura contrattuale, devono risultare da espressioni rivelatrici di un intento univoco che non può dare luogo ad incertezze e ad un’interpretazione estensiva della norma, con l’ulteriore notazione che, prima dell’acquisto dei locali da parte del condòmino, l’immobile era adibito a laboratorio di analisi cliniche.
A rimettere tutto in discussione provvedono i magistrati di Cassazione, ridando vigore alla posizione assunta dal condominio.
In generale, le restrizioni alle facoltà inerenti al godimento della proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio, volte a vietare lo svolgimento di determinate attività all’interno delle unità immobiliari esclusive, poiché costituiscono servitù reciproche, devono perciò essere approvate o modificate mediante espressione di una volontà contrattuale, e quindi con il consenso di tutti i condòmini, mentre la loro opponibilità ai terzi acquirenti, che non vi abbiano espressamente e consapevolmente aderito, rimane subordinata all’adempimento dell’onere di trascrizione del relativo peso.
Configurandosi, appunto, tali restrizioni di godimento delle proprietà esclusive come servitù reciproche, intanto può allora ritenersi che un regolamento condominiale ponga limitazioni ai poteri ed alle facoltà spettanti ai condòmini sulle unità immobiliari di loro esclusiva proprietà, in quanto le medesime limitazioni siano enunciate nel regolamento in modo chiaro ed esplicito, dovendosi desumere inequivocamente dall’atto scritto, ai fini della costituzione convenzionale delle reciproche servitù, la volontà delle parti di costituire un vantaggio a favore di un fondo mediante l’imposizione di un peso o di una limitazione su un altro fondo appartenente a diverso proprietario. Il contenuto di tale diritto di servitù si concreta nel corrispondente dovere di ciascun condòmino di astenersi dalle attività vietate, quale che sia, in concreto, l’entità della compressione o della riduzione delle condizioni di vantaggio derivanti – come qualitas fundi, cioè con carattere di realità – ai reciproci fondi dominanti, e perciò indipendentemente dalla misura dell’interesse del titolare del condominio o degli altri condòmini a far cessare impedimenti e turbative. Non appaga, pertanto, l’esigenza di inequivoca individuazione del peso e dell’utilità costituenti il contenuto della servitù costituita per negozio la formulazione di divieti e limitazioni nel regolamento di condominio operata non mediante elencazione delle attività vietate, ma mediante generico riferimento ai pregiudizi che si ha intenzione di evitare (quali, ad esempio, l’uso contrario al decoro, alla tranquillità o alla decenza del fabbricato), da verificare di volta in volta in concreto, sulla base della idoneità della destinazione, semmai altresì saltuaria o sporadica, a produrre gli inconvenienti che si vogliono, appunto, scongiurare.
La condivisa esigenza di chiarezza e di univocità che devono rivelare i divieti ed i limiti regolamentari di destinazione alle facoltà di godimento dei condòmini sulle unità immobiliari in proprietà esclusiva, coerente con la loro natura di servitù reciproche, comporta che il contenuto e la portata di detti divieti e limiti vengano determinati fondandosi in primo luogo sulle espressioni letterali usate.

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