Illegittimo penalizzare i dipendenti part-time nell’accesso alle maggiorazioni retributive
Censurata la normativa statale che prevede che, per accedere ad una maggiorazione retributiva, il dipendente part-time debba svolgere un numero di ore di lavoro extra pari a quello richiesto ai colleghi impiegati a tempo pieno
Questo il principio fissato dai giudici, i quali sanciscono che è contraria al diritto comunitario la normativa statale che prevede che, per accedere ad una maggiorazione retributiva, il dipendente part-time debba svolgere un numero di ore di lavoro extra pari a quello richiesto ai colleghi impiegati a tempo pieno. Accolte, nel caso specifico, le obiezioni sollevate da un lavoratore tedesco, il quale, impiegato con contratto part-time, ha adito le vie legali deducendo l’illegittimità della norma statale che in Germania, per l’accesso ad una retribuzione supplementare, chiede lo svolgimento dello stesso numero di ore di lavoro extra sia ai dipendenti a tempo parziale che a quelli a tempo pieno, non prevedendo invece una riduzione proporzionale all’orario sancito da contratto. I giudici hanno, in premessa, rilevato che se i lavoratori a tempo parziale esercitano le stesse mansioni dei lavoratori a tempo pieno, oppure occupano il loro stesso posto, le situazioni di queste due categorie di dipendenti sono comparabili. E l’esistenza di soglie identiche per attivare una remunerazione supplementare rappresenta per i dipendenti part-time la necessità di effettuare un numero di ore di servizio più lungo rispetto ai colleghi comparabili a tempo pieno, con conseguente maggiore difficoltà a soddisfare le condizioni per il diritto alla remunerazione supplementare. Di conseguenza, una norma nazionale che preveda una simile regolamentazione dà luogo a un trattamento meno favorevole per i lavoratori a tempo parziale, e, come tale, contrario al diritto dell’Unione Europea. Tornando al caso specifico preso in esame, i giudici sanciscono che una normativa come quella tedesca risulta lesiva dei diritti dei dipendenti part-time, a meno che la sua applicazione sia giustificata da una ragione obiettiva. (Sentenza del 19 ottobre 2023 della Corte di giustizia dell’Unione Europea)